- Domanda: ma dove li guida, verso cosa, con quali risultati?
Ho trovato l’affermazione che dà il titolo a questo post su LinkedIn. Tendenzialmente non la condivido, ma per rispondere alla domanda quantomeno bisognerebbe valutare tale affermazione in funzione del contesto e della dimensione dell’azienda in cui il c.d. “vero leader” opera.
In una Multinazionale, o comunque in una grande azienda, di solito non c’è un solo Leader, (i.e. l’Amministratore Delegato), considerato tale soltanto in funzione della sua posizione apicale, ma, auspicabilmente dovrebbero esserci una pluralità di Leader (a volte mai quanti in realtà ne servirebbero …), ognuno responsabile di una specifica unità aziendale.
Posso capire, che in alcuni casi, e penso per esempio, al manager che gestisce il Tax Department, o, almeno per molti versi, anche il manager responsabile della Direzione Human Resources, ma, a meno che l’obbiettivo del c.d. “leader vero” sia soltanto quello di sburocratizzare l’azienda tagliare i costi (e con essi “le teste”), così quelli che restano “si danno una svegliata”, mi sembrano delle eccezioni in quanto in questi casi i manager svolgono il loro ruolo sostanzialmente limitandosi a guardare “dentro all’azienda”.
A maggior ragione in una PMI probabilmente c’è un unico “leader vero”, ovverosia il “padrone” che gestisce in prima persona la società e in questo caso il leader non può soltanto limitarsi a “gestire le persone” ma dovrebbe essere il massimo esperto del prodotto fabbricato e commercializzato dalla PMI e del relativo mercato, insomma dovrebbe guardare “dentro” ma anche “fuori dell’azienda che dirige.
Ciò in quanto essere un leader in una società che produce e commercializza merendine piuttosto che in una che produce e commercializza torni industriali o macchine movimento terra non è la stessa cosa in quanto un leader vero non può prescindere da quello che c’è “fuori dall’azienda” prodotto compreso ma anche l’andamento del mercato, magari volatile quel che basta, le aspettative ed i gusti mutevoli dei clienti, l’irrompere di nuovi concorrenti e di nuove tecnologie, l’aumento del costo delle materie prime ….
Non sono fattori importanti? Basta saper guidare le persone? Ma chi decide, su quali basi, se fare o meno investimenti in un nuovo prodotto o invece continuare ad offrire al mercato i prodotti esistenti, o di scegliere una strategia di crescita organica per linee interne o per linee esterne? E il prezzo dei prodotti lo aumentiamo o insistiamo con gli sconti? E il miglioramento dei processi di produzione? facciamo o no investimenti in nuovi macchinari?
Ma il “vero leader”, se non conosce tutto dei prodotti e del mercato della società per cui lavora (o a cui sta facendo una consulenza …), come fa prendere queste decisioni, o anche soltanto a valutare le possibili decisioni che gli vengono sottoposte dai suoi collaboratori, (“quelli che stanno più in basso”) o anche a decidere se e a chi delegare la soluzione di un qualche problema e le relative decisioni, perché il “vero leader” non può fare tutto lui, non può decidere tutto
E dunque è lecita la domanda ma il “vero leader” dove guida le persone, verso cosa, con quali risultati, sulla base di quali strategie e con quali obiettivi, le une e gli altri costruite ed ipotizzati a partire da cosa e sulla base di quali conoscenze”? Solo la conoscenza dei processi interni all’azienda, alla stregua di un bravo responsabile HR o anche la conoscenza del contesto esterno, quello con cui l’azienda quotidianamente si confronta e da cui dipendono i suoi risultati e sulla base di cui il leader vero dovrebbe anche impostare le sue decisioni?
- Leader, non leader e contesto
Mi viene in mente Sergio Marchionne. Che cosa fece Marchionne appena arrivato in Fiat? Quali decisioni adotto? Nessuna. Per sei mesi Marchionne se ne stette zitto e si limito a girare per l’azienda, visitando stabilimenti, concessionari, fornitori e parlando con i manager delle varie società del Gruppo. Dopo sei mesi di “apprendimento” iniziò a prendere decisioni e a gestire la Fiat (e tanti manager persero la tranquilla posizione gerarchica in cui da tempo erano comodamente posizionati, del tutto indifferenti al declino della società per cui lavoravano).
Quale conclusione dunque? La conclusione è che per essere un leader non basta “guardare dentro all’azienda” e “guidare” quelli che stanno sotto ma bisogna anche adeguare il comportamento dell’azienda a tutto “quello che sta fuori” e per farlo bisogna capire il prodotto, il nostro e quello dei concorrenti e le peculiarità della tecnologia utilizzata e del mercato (quello della società dove lavoriamo in quel momento, macchinari industriali, e non quello delle della società che produceva merendine …).
A questo punto può essere utile citare uno dei casi di “fake leadership”[1] che ho descritto in Capo, Caporale e Leader relativo alle relativamente recenti “disavventure” della Benetton, così come raccontate da Luciano Benetton in una intervista al Corriere della Sera[2].
La vicenda, come riassunta dallo stesso Luciano Benetton è presto detta. Il nuovo Amministratore Delegato della Benetton, senza consultarsi con nessuno, aveva eliminato «figure professionali di grande esperienza» per inserire in azienda nuovi collaboratori tra cui alcuni che provenivano dall’area commerciale di un’azienda con tradizione di mercato completamente diversa, che, come raccontato da Luciano Benetton, si erano disinteressati della cultura aziendale esistente, presumendo di poterla sostituire, subito e con un mero ordine di servizio («abbiamo deciso noi e dovete attenervi»), con la cultura della società da cui provenivano oltretutto sottovalutando le dinamiche del contesto di mercato ove opera la Benetton (tutto quello che” sta fuori dall’azienda”).
Il risultato? Senza che ci fosse stata una qualche avvisaglia in quanto nelle precedenti riunioni del CdA i manager della società avevano descritto la situazione dell’azienda, con qualche problema ma dando ai membri del CdA l’impressione che la società fosse sotto controllo, nel settembre 2023 agli sbigottiti Consiglieri venne inopinatamente comunicata una perdita di bilancio di circa 100 milioni (in realtà 230 milioni nel bilancio 2023). La fine della storia? La Benetton si è poi risollevata ma nel frattempo ha nominato un nuovo Amministratore Delegato…
Questa vicenda suggerisce due considerazioni: la prima è che i manager, leader o non leader che siano, non possono ignorare le peculiarità dei prodotti, del mercato e dei clienti ove opera l’azienda che ha deciso di assumerli, fidando nelle loro precedenti esperienze, magari in società che operavano in un settore merceologico completamente differente.
La seconda considerazione è che un vero leader non può essere “Leader per sempre”, se esercita la sua leadership sempre allo stesso modo, qualunque sia la società ove è chiamato ad operare. Al contrario il leader per rispettare il suo ruolo deve essere anche in grado di comprendere le peculiarità dei singoli contesti in cui opera l’azienda in cui, nel tempo, è chiamato ad operare, pronto ad adattare di conseguenza il suo modo di interpretare la leadership.
Un Leader può forse essere “Leader per sempre”, ma sicuramente non può certo pretendere di esserlo sempre allo stesso modo, con lo stesso stile, lo stesso approccio, a prescindere dalle particolari circostanze in cui si trova ad esercitare la sua leadership e degli specifici obiettivi che deve raggiungere.
Marco Bianchi © 2025 – Tutti i diritti riservati
[1] “Abbiamo deciso noi e dovete attenervi”: le disavventure della Benetton”.
[2] Intervista di Luciano Benetton del 25 maggio 2024 concessa a Daniele Manca, vicedirettore del Corriere della Sera (“L’addio amaro di Luciano Benetton “sono stato tradito”. La denuncia: le verità dei bilanci nascoste dai manager”).
